Tra le conseguenze più pesanti dell’emergenza da Coronavirus c’è la concreta possibilità che un terzo delle paritarie, in Italia, non riapra i battenti a settembre. Con effetti a catena gravissimi: sia per il futuro degli alunni e, di riflesso, delle famiglie, sia in termini occupazionali (che faranno i docenti?), sia per la storia stessa di istituzioni scolastiche in questione, in molti casi dalla tradizione lunga e di qualità. Quando parliamo paritarie , non dimentichiamolo, parliamo di 866mila alunni, 100mila docenti e oltre 13mila scuole.
Un esempio ce l’abbiamo qui vicino: dal 31 agosto – è notizia recentissima – i Somaschi di Casa San Girolamo a Vercurago chiuderanno definitivamente l’asilo nido “Il villaggio dei folletti” e la sezione Primavera, mettendo una pietra tombale, loro malgrado, ad un percorso ventennale che,a sua volta, è legato a una presenza nel segno dell’accoglienza dei bambini che i religiosi avevano avviato nel lontano 1967.
Purtroppo il problema è che troppe persone ritengono che questo incombente disastro sia una questione “privata”, di cui si devono interessare esclusivamente alunni e famiglie delle scuole paritarie. «Se mio figlio frequenta una scuola statale che mi frega se le non statali vanno a fondo?». Il retro pensiero, in questi casi, è che paritarie e statali siano in concorrenza e non, come stabilisce la legge 62/2000, parte di un sistema misto che fa un servizio pubblico in entrambi i casi. L’ex ministro Luigi Berlinguer, democratico di sinistra, nel 2005 scriveva su un giornale insospettabile come Repubblica: «In Italia siamo fermi alla confusione che scuola pubblica sia uguale a scuola statale. È tempo di chiudere questo conflitto del ‘900: scuole statali contro private. Non esiste, fa perdere tempo e risorse. Basta guardarsi in giro: l’insegnamento è pubblico, ma può essere somministrato da scuole pubbliche, private, religiose, aconfessionali in una sana gara a chi insegna meglio». Oggi purtroppo abbiamo al governo persone come la senatrice Bianca Laura Granato che – non dimostrando di non avere nessuna conoscenza del panorama europeo – di recente si è esibita in Parlamento in show ideologico e sopra le righe nel quale, col pretesto di difendere la scuola statale, ha attaccato in maniera sguaiata le scuole non statali, che dimostra ampiamente di non conoscere.
La sua compagna di partito, Lucia Azzolina, che siede sullo scranno più alto di viale Trastevere si sta dimostrando, a detta di molti, altrettanto inadeguata, come dimostrano anche i fondi esigui (poco più che briciole) assegnate alle paritarie che hanno dovuto alzare non poco la voce per non essere totalmente dimenticate da questo governo. Che la situazione sia davvero delicatissima lo ha spiegato ieri benissimo “Avvenire” in un pezzo dal quale riporto questo breve passaggio: «Dai nidi alle materne, dalla primaria ai licei, sono molti gli istituti che hanno già annunciato alle famiglie l’intenzione di non riaprire dopo l’estate. Scuole che per anni si sono sostenute su un fragile equilibrio finanziario – composto dalle rette delle famiglie, ma anche da tanti sacrifici di ordini religiosi e cooperative di genitori, donazioni di privati e residuali finanziamenti statali – che il Covid ha definitivamente spezzato. Stime attendibili indicano nel 30% le paritarie che potrebbero chiudere causa-Covid, con 300mila alunni che traslocherebbero nelle scuole dello Stato».
Sbaglierebbe (e di grosso) anche chi pensasse che il mio SOS così come le preoccupazioni di “Avvenire” siano legati a motivazione di ordine confessionale, per tutelare le scuole cattoliche e stop. Non è così. Insegno dalle salesiane all’IMA di Lecco e in Università Cattolica a Brescia, ma posso assicurare quanti mi leggono che io, i colleghi e i dirigenti di entrambe le istituzioni abbiamo a cuore la qualità della scuola tout court e non ne facciamo un problema “di bottega”. Solo, come ha fortunatamente ricordato due giorni fa Patrizio Bianchi, coordinatore del Comitato di esperti voluto dalla ministra dell’Istruzione, ci teniamo a ricordare che «le scuole paritarie non sono un accessorio».
Vado a concludere. L’Italia ripartirà col piede giusto se metterà al centro il tema-scuola con convinzione, in una logica europea (ben illustrata da Alessandro D’Avenia nella sua rubrica “Ultimo banco” lunedì scorso, sul Corriere”), solo se ci sarà un massiccio investimento sull’educazione, la formazione, sul capitale umano. Se la priorità rimarrà soltanto l’economia sarà una falsa partenza.
Lo stesso vale a livello locale. Mi auguro che il prossimo Sindaco di Lecco e la sua Giunta con lui operino con decisione in tale direzione. Sappiamo bene che a Lecco la cura dell’infanzia non può prescindere dal ruolo decisivo delle scuole materne non statali (ben 15), che coprono capillarmente il territorio. Ciò permette loro di mantenere un solido legame con le famiglie del quartiere, in virtù del quale si è sviluppato il prezioso contributo di parecchi volontari (a partire dai presidenti delle materne stesse). Continuare a sostenere quelle esperienze che, da decenni, rendono un servizio insostituibile alla città è un passaggio obbligato, se vogliamo che Lecco sia una città “capace di futuro”, specie in un contesto nazionale segnato dall’allarme-denatalità.
Per quanto mi riguarda, sono certo che Mauro Gattinoni – un uomo che conosce bene sia il mondo dell’associazionismo che quello dell’impresa – abbia chiare queste urgenze. Sono convinto che, sulla scia di quanto ha operato negli ultimi anni il Comune di Lecco (garantendo una convenzione con le materne che altrove si sognano!), anch’egli continuerà ad agire nell’ottica di un’integrazione armonica fra i vari soggetti che concorrono al servizio pubblico nel vasto ambito dell’istruzione e della educazione. Anche per questo a Mauro sto dando una mano e mi adopero perché tocchi a lui raccogliere il testimone da Virginio Brivio, che ha operosamente e degnamente servito la nostra città negli ultimi 10 anni.
Gerolamo Fazzini, giornalista e insegnante